“Professionisti del vino italiano poco attenti alle diversity”: attacco e campagna social

Quattro foto su Instagram per sentirsi a posto contro discriminazioni di razza, genere, sesso e disabilità

Da diverse settimane ho un mal di pancia che merita (forse) un editoriale. Alla casella di posta elettronica di WineMag.it è arrivato l’appello di un’agenzia di stampa che, nel bacchettare “i protagonisti del settore enologico italiano”, colpevoli di “non aver dato vita a un movimento di contrapposizione alle diversity (discriminazioni di razza, genere, orientamento sessuale e disabilità) pari a quello di altri Paesi del mondo” dopo la brutale uccisione di George Floyd in Minnesota, invitava ad aderire alla campagna di una professionista italiana del settore del vino, che invece “ha deciso di dire basta a certi gesti di discriminazione sul lavoro”.

Come? Ovviamente con una campagna Instagram (sic!) in cui “affrontare il tema della diversità ed inclusione nel mondo del lavoro nel settore Wine & Spirits in quattro diversi ambiti: razza, genere, orientamento sessuale, disabilità, attraverso i racconti di altrettanti protagonisti”.

Due degli “episodi” sono stati già pubblicati. Il primo vede protagonista un maître, presumibilmente di origine sudamericana, offeso da un cliente che si è rifiutato di farsi servire un drink perché lo riteneva “troppo scuro di pelle“.

Il secondo vede in primo piano la stessa promotrice della campagna social, che “ad una fiera” (imprecisata) sarebbe stata “interrotta nella degustazione con un produttore da un uomo che, con arroganza, ha preso il mio posto e ha iniziato a parlare ‘tra maschi’, ritenendo che io fossi lì soltanto per flirtare“.

Nessun dubbio sulla veridicità dei fatti. Ma c’è una curiosità: in entrambi i post, i protagonisti reggono (e mostrano bene, of course) una bottiglia di Champagne A. Bergère Flower Selection.

Mica un vino qualunque: promozione? Adv? Marchetta? Sponsor della campagna? Un dettaglio che non è indicato da nessuna parte. Di certo, la casa di Epernay (e la filiale italiana) sono molto attente al mondo della “promozione” Social del brand, ricorrendo anche alle cosiddette “influencer” (tette al vento e bottiglia dall’etichetta sfuocata, avete presente?).

Ma quel che fa più pensare – alimentando il mio mal di pancia – è la mancanza di approfondimento dei j’accuse, giustificabile solo in parte dalla necessità di immediatezza della comunicazione social, capace di accontentare solo i bambocci.

Possono poche parole, belle immagini e una bella bottiglia chic sensibilizzare su temi come la discriminazioni di razza, di genere, d’orientamento sessuale e sulla disabilità, oppure qualcuno, all’epoca in cui tutto è possibile purché sia social e viral, pensa bene di cavalcare qualsiasi tematica per due cuoricini in più sui social?

Domande la cui risposta è riposta (scusate il giro di parole) nella coscienza dei promotori di simile iniziative. Gente che, nello specifico, continua la vita di sempre (meglio evitare che si deprimano i follower, battendo troppo il chiodo delle tematiche sociali).

Sullo stesso canale Instagram teatro della campagna, infatti, la paladina italiana del Black Lives Matter sciorina foto in costume e di altri champagne degustati sulla spiaggia, oltre alle immagini di tante altre etichette degustate e pubblicate (forse) non proprio a caso.

Rimangono allora tanti interrogativi. Quanto vale, nel 2020, l’oggettività? Una battaglia senza sponsor non vale la pena di essere combattuta? Quanto conta, nell’anno del virus che ha cambiato gli equilibri mondiali, la credibilità umana, prima di quella social(e)? Quanto conta l’informazione vera, per chi vuole fare vera informazione e scardinare i pregiudizi?

Infine, un suggerimento. Bei temi quelli della campagna social in questione e l’aggancio (in stile rugbista) al movimento Black Lives Matter, con il relativo appello all’adesione massiccia, puntando sulla sensibilità dei “protagonisti del settore enologico” del Bel paese.

Il punto è che faremmo meglio a guardare alla nostra Italia per dar voce a chi non ce l’ha. Iniziando tutti a parlare un po’ più di temi come la mafia, la ‘ndrangheta, il caporalato, la corruzione e il malaffare che serpeggiano anche nel mondo del vino italiano.

Una cosa è certa: avrebbe tutto un altro effetto rispetto a una bella foto Instagram modificata a dovere in studio, dove quella luce, un po’ radical e un po’ chic, pettina tutto: pure lo Champagne e i razzisti. E allora cin, cin. Ma solo a quelli innamorati del vento tra i capelli e delle cause perse. Per tutto il resto, c’è Instagram.

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